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Aterrana, il «paese-presepe» colpito dal terremoto

Lungo la strada che conduce al pizzo di San Michele, sorge un piccolo paese che il logorio del tempo e la mano irresponsabile dell’uomo hanno risparmiato. Il borgo colpisce per la sua atmosfera rimasta intatta nei decenni. All’apice di una salita che s’inerpica sino alla chiesa della Madonna delle Grazie, si arriva ad Aterrana, frazione di Montoro, un centro arroccato, sopravvissuto finanche al terremoto del 1980. Conta meno di 300 anime. E’ situata alle pendici della catena Taurina che risale, con molta probabilità, a epoca pre romana e che oggi vanta scorci e stradine di chiara influenza medioevale. Aterrana è un suggestivo e raro connubio tra storia, arte, cultura e tradizioni del tempo che fu, conservato nei secoli e pronto ad accogliere le attenzioni di estimatori e turisti. La bellezza di questo antico borgo è racchiusa tutta nei suoi angoli, nei piccoli vicoli che s’inerpicano nel centro storico, in quelle sue stradine, tra archi e finestre che si affacciano sulle vicissitudini di un popolo attaccato alle proprie radici. Aterrana e le sue strade in pietra che portano alle vecchie abitazioni, ai piccoli anfratti, ai vecchi portoni, ad antiche abitazioni in pietra con le scale all’esterno, ricchezza di aie e cortili un tempo vissute da famiglie contadine. 

 

Il vecchio borgo storico di Aterrana mantiene integro e un po’ nascosto il suo fascino, la gente continua a viverci, i circoli sociali restano presidio degli uomini del paese, le donne, nei pomeriggi primaverili, restano raccolte davanti agli usci, sedute nelle piccole piazzette a raccontarsi il passare del tempo, le cose semplici che sono parte della vita di tutti. Ciò che rapisce l’attenzione sono piccoli balconi in stile barocco, antichi pozzi protagonisti dei vecchi cortili, finestre squadrate da cornici di pietra. Viene definito il «paese-presepe» e quando a Natale si trasforma in location per ospitare la rappresentazione del presepe vivente, si comprende al meglio il perchè di quella definizione. Vengono rievocati antichi mestieri, in quelle abitazioni abbandonate, ma rimaste intatte. I falegnami lavorano scaldati dal focolare acceso dalle proprie mogli. Lo scultore ricava la creta dal terreno e riproduce Santi e Madonne. «Tu portami la figurina che vuoi e io ti faccio la copia ». Gli asini riposano quando è notte e un pastorello fa la guardia. C’è chi ripara le suole degli scarponi, chi gioca a carte di fronte al provolone e del buon vino rosso. «E’ il presepe vivente, ma noi viviamo così tutti i giorni», racconta una donna che vende le uova in piazza ai turisti. Di estraneo al contesto c’è il palazzo di Erode e la capanna dove è nato il bambin Gesù, tutto il resto è la quotidianità di questo popolo saldamente legato alle proprie origini, alle proprie tradizioni. Il contadino va in giro per le stradine di Aterrana: nella cesta ha della verdura e vorrebbe scambiarla con delle salsicce dal macellaio. Si baratta ancora ad Aterrana. Si lavano i panni con l’acqua del pozzo e le donne lavorano la lana. 

 

I portoni chiusi con delle catene arrugginite sono testimoni di un passato che qui è un presente vivo, corrente. Come le travi in legno che spuntano dal solaio delle abitazioni in pietra. Il pane non ha un prezzo, basta un offerta per prenderne un pezzo. Il rigattiere urla dall’uscio del portone, c’è talmente tanta di quella roba là dentro che non c’è posto nemmeno per lui e la sua scrivania. Il canestaro aggiusta i cesti, impaglia i fiaschi e le damigiane; di fianco c’è il cappellaro, fabbrica cappelli che, normalmente si dividono in estivi, fatti solitamente di paglia e quindi detti pagliette, e invernali, per i quali si utilizza della stoffa pesante. Il notaio ha di fronte due clienti, vogliono comprare casa. Si vive con poco ad Aterrana, ma si fatica molto: i terreni in collina, i greggi e gli allevamenti di bovini. Sulle mani degli abitanti i segni indelebili di una storia che si tramanda. E passeggiando per le sue stradine si respirano tutti i profumi che altrove nemmeno esistono più. Si diventa partecipi della vita allegra di quella gente che ha «tutto» pur non avendo «nulla». Anziani e giovani, residenti ed emigranti lontani che periodicamente, ogni anno, ritornano nel paesino per nutrirsi di un'antica memoria. 

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